Omaggio a Nico Orengo e al suo straordinario “Salto dell’acciuga”
Nico Orengo (Torino, 24 febbraio 1944 – 30 maggio 2009) è stato poeta, narratore e giornalista a La Stampa, responsabile per vent’anni di Tuttolibri. Autore anche di filastrocche per bambini. Appassionato di storia gastronomica e tradizioni locali ne “Il salto dell’acciuga” (pubblicato da Einaudi nel 1997) Orengo si è interrogato sulle origini della Bagna Cauda: come mai il piatto principe del Piemonte, regione che non ha sbocchi sul mare, è a base di pesce? Tra notizie storiche, racconti privati, ricordi e chiacchiere di paese Orengo, la cui famiglia era originaria del Ponente ligure, misura ad ampie falcate le vie del sale tra Liguria e Piemonte.
Ecco alcuni passi tratti da “Il salto dell’acciuga”
Una volta che andammo a Buenos Aires a parlare di “radici e identità” culturale, incontrai un vecchio piemontese del quartiere La Boca. La mattina, nell’aula della Biblioteca Nazionale, dedicata a Borges, avevo nominato l’acciuga e la Bagna Cauda. Lo aveva fatto anche Alessandro Barbero che, nella notte, aveva trovato in una libreria di Florida o Suipacha una testimonianza di soldati argentini che durante la guerra delle Falklands si consolavano, sotto i colpi di Sua Maestà britannica, con ricordi di Bagna Cauda. Finito il convegno eravamo corsi in taxi, con Paolo e Luana Mauri e Francesco Biamonti al cimitero della Chacarita, dove Valerio Magrelli voleva infilare una sigaretta fra le dita di Gardel. E il vecchio piemontese era rimasto ad aspettarci. Era originario di Cuneo ed era venuto per sentir parlare in italiano e si era commosso sull’acciuga. Mi disse che ogni anno a Cordoba preparava una Bagna Cauda per trecento persone, e che avrei dovuto sentire il profumo dell’acciuga e dell’aglio che rimaneva nella corte “da un anno all’altro”.
(…)
“Ce ne stiamo alla trattoria dei Pesci vivi, poco lontano dall’abbazia di Staffarda (…). Mentre mangiamo, come quasi sempre si fa a tavola, parliamo di mangiare. Dobbiamo mettere in programma una serata di funghi, una di lumache, una di tartufi, una di polenta. E una grande Bagna Cauda.
(…)
Io dicevo, come provocazione: – La Bagna Cauda l’hanno inventata i liguri con l’aiuto del garum romano. Avevamo acciughe, sale, olio, cardi che venivano da Nizza, finocchi, cipolle, carciofi.
Nicoletta ride. Dice: -Dillo a un piemontese. Allora avevo chiesto a Ugo: – Secondo te qui era più importante l’acciuga o il sale?
– Certamente il sale, l’acciuga era il companatico. Ma l’acciuga poteva nascondere il sale o diventare importante quanto e forse più del sale…”
(…)
Da tempo Vasco voleva portarmi verso Cuneo a cercare un acciugaio che da ragazzo girava i paesi con la bicicletta e il suo barattolone legato al portapacchi, dietro al sellino.
– Prima, – gli ho chiesto, – fammi vedere come si fa una Bagna Cauda. Sono andato in cucina, a casa sua, in via Casteggio, dove una volta abitavo nell’alloggio dove ora sta lui. Mi fa vedere un mucchietto di acciughe belle grassottelle. – Più le lavi e meno forte rimane la bagna, – dice. – Se son buone le devi spaccare longitudinalmente, ricorda.
Devi metterle per una decina di minuti in un piatto fondo coperte d’acqua e un po’ d’aceto di buon vino. Perdono sale e si sgrassano leggermente. Poi l’aglio. Se ce l’hai di Cap d’Ail, quello rosato, meglio. Una testa a persona. Togli per bene la pellina e anche l’anima, che fa solo pesantezza di stomaco. Poi ti prepari le verdure. Il cardo, di Nizza Monferrato, è il più delicato. Lo tagli e lo tieni a bagnomaria in acqua e limone perché non ossidi. Fai lo stesso anche con i topinambur. Ricordati le foglie del cavolo, quelle vicine al cuore e ricordati di prendere, a Porta Palazzo li trovi, i peperoni sotto raspo d’uva, lavali con cura. E lava bene le barbabietole. Fai cuocere una cipolla al forno, con la buccia, che peli dopo. Ci vuole anche una bella noce, senza pelle. Per levarla si butta nell’acqua bollente e poi sotto il rubinetto della fredda. Poi pesta bene. Vasco prende le acciughe dal piatto, le apre, le lava ancora sotto l’acqua fredda e poi le asciuga su fogli di Scottex. Si avvicina a una terrina e ci versa due bei bicchieri d’olio e una noce di burro.
A questo punto ci versa la noce tritata e accende a basso fuoco. Con una paletta di legno amalgama olio, burro e noce. E ci lascia cadere con religiosità le acciughe, una per volta e gira con polso di velluto. A parte ha fatto bollire nel latte l’aglio e ora, che è freddo, dopo averlo asciugato, lo schiaccia con il palmo della mano e lo butta nella terrina.
– Ti faccio una bagna delicata, – dice.
E continua a girare, ad amalgamare. Tiene il fuoco ancora per un quarto d’ora, poi dice che è pronta.
Ci sediamo a tavola, con la terrina di fronte…